Titolo di una tragedia di Eschilo. Nel 467
a.C. Eschilo riportò la vittoria nel concorso tragico con la tetralogia
costituita dalle tre tragedie
Laio,
Edipo,
S. e dal dramma
satiresco
Sfinge. Della tetralogia
tebana, cosiddetta in quanto le
composizioni - come dimostrano i titoli - erano legate dal comune riferimento al
ciclo mitologico tebano, sono giunti sino a noi solo i
S. La critica
ritiene tuttavia che l'ultima parte di questa tragedia (dal verso 1.005 in poi)
non sia stata scritta dall'autore, ma aggiunta da altri in una rappresentazione
postuma, quando era già nota l'
Antigone sofoclea; anche i versi
successivi all'860 presentano numerose interpolazioni. Costruita secondo la
regola poi classica dell'unità di tempo, luogo e azione, la scena si
svolge a Tebe, ove Eteocle, figlio di Edipo, si prepara a fronteggiare l'attacco
contro la città guidato dal fratello Polinice, che egli aveva privato del
trono e mandato in esilio, e da altri sei comandanti della città di Argo.
La parte centrale del dramma, che segue il lamento del coro di donne tebane che
piange la sventura della città, si struttura in sette coppie dialogiche.
Esse si svolgono tra Eteocle e un messaggero, che informa con minuzia il re sui
singoli capi nemici: Eteocle designa l'eroe tebano che si contrapporrà a
ogni comandante argivo, difendendo ciascuno una delle sette porte di Tebe. Come
antagonista di Polinice, Eteocle indica se stesso. Il duello tra i fratelli non
si svolge direttamente sulla scena, ma viene narrato da un nunzio: i due si sono
uccisi reciprocamente, anche se la vittoria è stata conquistata dai
difensori di Tebe. Solo i cadaveri compaiono infine alla vista del pubblico,
mentre il coro intona il lamento funebre (
threnós). I magistrati
cittadini ordinano che il re morto sia seppellito con onore, ma che al contrario
il cadavere di Polinice sia esposto e abbandonato alle fiere. Antigone e Ismene,
sorelle dei caduti, compaiono in scena: il proposito espresso da Antigone di
seppellire il fratello nonostante il divieto prelude alla versione del mito
così come fu poi narrata da Sofocle. Per questo motivo, l'ultimo quadro
dei
S. è ritenuto spurio. Questa tragedia è di grande
importanza non solo per il livello artistico, ma anche per il rilievo che in
essa assume la tecnica dialogica: Eschilo infatti fu il primo autore a servirsi
di due attori presenti contemporaneamente sulla scena, facendo prevalere il
dialogo sul monologo e gettando le basi della vera arte drammatica
(V. anche
ESCHILO).